San Felice


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Questo servo di Dio che, vivendo non fece in terra altra figura

che di uomo idiota e cercatore di limosina per i suoi frati, ora,

regnando con Dio in cielo, venerato qua interra per la sua

santità dai grandi confonde i fasti maestosi di ogni monarca

più sublime di questo mondo”

 

Felice da Cantalice , primo santo dell’Ordine dei Cappuccini.

 

NASCITA

Uno dei personaggi che hanno edificato la Roma del 500 con dei “ fioretti singolari ” è San Felice da Cantalice dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Il primo santo dell’Ordine Cappuccino nacque tra il 1513 e il 1515 a Cantalice, castello di Cittaducale da Santa e Santo Porro, famiglia di tradizione cristiana.

Già da bambino, amava straordinariamente le pratiche di pietà. Assisteva con devozione alla S.Messa, radunava i fanciulli suoi coetanei e li animava a fare il bene e fuggire il male. I suoi compaesani ammiravano la sua straordinaria pietà unanimemente vaticinavano che egli sarebbe divenuto un gran santo. Ma la loro ammirazione crebbe quando gli fu affidata la custodia del gregge paterno. Nel silenzio dei boschi e nella solitudine dei campi, sentiva più che mai la voce si Dio che parlava al suo cuore. Ripeteva con frequenza le orazioni apprese dal labbro materno e, all’ombra degli alberi, sul tronco dei quali aveva inciso una croce, si fermava a pregare e meditare intorno ai misteri della nostra Redenzione .

IL MIRACOLO DELL’ACQUA

Si narra che durante una calda giornata di lavoro, nel luogo dove oggi sorge il Santuario di San Felice All’Acqua, attualmente luogo di ritrovo di numerosi pellegrini, Felice abbia pregato per far scaturire una sorgente d’acqua.

Durante una calda giornata estiva, Felice e i suoi compagni erano dediti come solito alla cura degli armenti, il gran caldo e la mancanza di acqua comportava una gran fatica, i suoi compagni, al limite di sopportazione si lamentavano e imprecavano contro Dio e il loro triste destino. Affinché i contadini potessero estinguere la sete, Felice pregò e, colpendo a terra con un bastone fece scaturire una sorgente d’acqua.

CITTADUCALE

Ad otto anni, costretto dalla necessità, lascia il tetto paterno per raggiungere Cittaducale presso il nobile Marco Tullio Pichi che gli affida la cura dei suoi armenti. Per lenire il dolore del distacco, soprattutto dalla sua adorata madre, intensificò le pratiche religiose:si racconta che durante la notte si ritirava in luoghi solitari e si flagellava con un mazzo di corde il suo corpo per riparare le offese che dagli uomini ingrati si facevano a Dio.

Viste le sue virtù, l’umile pastorello fu chiamato ad abitare in un sontuoso palazzo perché si occupasse dell’educazione dei suoi figlioli.

LA VOCAZIONE

Correva l’anno 1543, un giorno messer Marco Tullio Pichi chiese a Felice di accompagnarlo al campo detto “Immagine”, al di là del fiume, per la consueta aratura autunnale. Arrivati in campagna, Felice aggioga i buoi all’aratro e mentre cerca di liberare le zampe dalle funi i giovenchi, sentendosi liberi, atterrano Felice e lo calpestano malamente. Il coltro tagliente gli era passato sul petto lacerando giubbone e camicia, ma sangue non ne colava. Fu questo avvenimento straordinario che gli rivelò la volontà divina, messer Pichi aveva visto il vomere ficcarsi sul ventre e passare sul petto e sulla faccia di Felice, lo aveva visto rialzarsi, cadere in ginocchio e levare al cielo una preghiera ed implorare il perdono per il voto religioso sepolto dal trascorrere degli anni e da tutti ignorato.

Tra il 1543 e il 1544 entrò tra i cappuccini: arrivò dal Padre Guardiano e, quindi, si avviò verso Roma con la lettera commendatizia del Padre Guardiano nella tasca. Dice la storia, “correa l’anno 1543, quando Felice che era in quel tempo, come si disse, nel trentesimo della sua età, si presentò in Roma al provinciale Padre Raffaele da Volterra….”

Gli inizi della sua esperienza religiosa furono assai difficili, travagliati fisicamente e spiritualmente. Fu inviato a compiere il noviziato ad Anticoli di Campagna, l’attuale Fiuggi. La malattia lo provò duramente e ne mise in forse l’ammissione all’Ordine. Erano anni difficili per l’Ordine sorto da poco: calunnie, defezioni clamorose sembravano minacciarne la sopravvivenza. Mentre era ormai novizio nel convento di Fiuggi, fu preso da una violenta “febbre quartana” per lunghi giorni. I frati cominciarono ad impensierirsi, perché il noviziato non è un ospedale e non si possono ammettere malati nella famiglia cappuccina. A seguito di votazione, fu mandato in prova definitiva la convento di Monte San Giovanni Campano. Superò misteriosamente la dura prova : nel 1545, con il segno della croce dell’analfabeta, sottoscrisse il suo testamento e il 18 maggio, a Monte San Giovanni campano, emise i voti di povertà, ubbidienza e castità. Trascorse i primi anni di vita religiosa tra Anticoli, Monte San Giovanni Campano, Tivoli a Palanzana.

Nel 1547 passò al Convento di San Bonaventura a Roma dove rimase fino alla morte, prima come questuante di pane, poi come questuante di olio e vino. Era ignorante e analfabeta, ma si diede ad amare Dio ed il prossimo con totale dedizione.

ROMA

Dopo aver fatto il noviziato ad Anticoli, nel 1548 fu assegnato al convento di San Bonaventura in Roma, dove rimase fino alla morte. Qui per quarant’anni si fece sommamente ammirare da tutta l’Urbe per la cristiana innocenza dei costumi, per la semplicità e per il genere di vita e di asprissima penitenza.

Dalle prime ore del mattino, popola santa Messa, girava per le strade dell’Urbe a piedi nudi, tra palazzi e casette, riempiendo la sua tasca ruvida, che chiamava l’ alabarda di pane. Si caricava anche dell’olio, delle legna e delle castagne, delle noci, riempiva le fiasche di vino, era l’instancabile asinello su cui si riversava l’elemosina dei ricchi e dei meno ricchi. Per il denaro aveva un sommo orrore.

Per sé non volle mai altra cosa fuori di ciò che gli era strettamente necessario, per il suo lavoro di cercatore: una bisaccia, due fiasche per il vino che questuava, un bastone per appoggiarsi, un coltellaccio con alcuni pezzetti di legno per farne crocette. Fu questuante del convento di San Nicolò dei Porci, ora Santa Croce dei Lucchesi.

Non concesse al corpo stanco nessun riposo, castigandolo con digiuni che si era imposti al di fuori dell’usanza comune. Si sarebbe nutrito di sole erbe e radici se non glielo avessero vietato, se qualche cibo gli sembrava troppo delicato lo rendeva amaro ed insipido mescolandovi della cenere.

Flagellava il suo corpo con tanta asprezza che, se Dio miracolosamente non lo avesse sostenuto, non avrebbe potuto resistere. Nulla ha fatto, soltanto l’obbedienza: tirar su in silenzio la bisaccia sulle spalle ed uscire a chieder l’elemosina, a chieder un po’ di pane, un po’ di olio e un po’ di vino per la mensa di San Francesco in compagnia di un altro frate laico, Frate Angelo da Collescepoli: con ragione quindi i romani lo proclamavano angelo di innocenza e di semplicità.

I FANCIULLI

Amava i fanciulli perché semplici ed innocenti come lui. Se ne stava volentieri in mezzo ad essi esortandoli a recitare la corona o a cantare qualche devota strofetta da lui stesso composta. Nel passare sempre davanti al Collegio Germanico tagliava la folla degli studenti che salutava con le parole Deo Gratis. Quel saluto divenne così puntuale e caratteristico che alla fine gli scolari quando lo vedevano arrivare annunciavano “ Ecco Deo Gratis ”. Operò spesso in loro favore grandi e straordinari miracoli resuscitando i morti, “illuminando i ciechi o raddrizzando gli storpi”.

L’AMICIZIA CON SAN FILIPPO NERI

Proverbiale fu l’amicizia di San Felice con San Filippo Neri, il fiorentino apostolo dei romani, talvolta si manifestava pubblicamente con simpatiche forme di saluto. Quando lo incontrava per strada, gli chiedeva pubblicamente consigli e ammaestramenti. La schietta e popolaresca semplicità del laico cappuccino, lo riempiva di consolante ammirazione. Anche San Carlo Borromeo lo tenne in grandissima considerazione, come tanti altri prelati, che riconoscevano nell’indotto ma spirituale cappuccino, una straordinaria potenza intellettuale.

L’ALFABETO

Felice non era un dotto, né un letterato, non sapeva leggere né scrivere. La sua scienza era la scienza di Dio, diceva di non conoscere che sei lettere, cinque rosse ed una bianca: le lettere rosse erano le piaghe del Crocifisso, quella bianca, la SS. Vergine. Era assiduo nel meditare la passione di Gesù, venerava con devozione la Croce, nella tribolazione soleva spesso cantare una devota canzoncina: “Chi la Croce stringe bene, Gesù Cristo lo sovviene e il Paradiso ottiene”.

IL MEDICO DIVINO

In tutta Roma, per i tanti prodigi, non si parlava che di lui ed era comunemente chiamato il “medico divino”. Per qualunque malattia il rimedio più sicuro era ricorrere a San Felice. Nel cerimoniale romano non è stabilito il numero dei miracoli che è rimesso alla disposizione del diritto comune, nel diritto non si trova un determinato e certo numero richiesto perché uno possa essere canonizzato:

Guarigione da un tumore inveterato e dal dolore, Clarice Guarneri, romana affetta da un tumore molestissimo ai piedi, tanto da essere costretta a letto per tre anni. Unta da uno dei religiosi con l’olio della lampada che ardeva davanti al sepolcro, scomparve ogni gonfiore ai piedi e ricominciò a camminare liberamente;

Guarigione da artrite, Fra Paolo da Tivoli, cappuccino nel monastero romano fu colpito da grave artrite tale da non poter più muoversi e camminare. Unto con l’olio della lampada, guarì immediatamente dal dolore e si alzò;

Guarigione da apoplessia, cancro e altre malattie, Domenico Fiorone abitante di Castro Robiano, cadde in una febbre continua e acuta, alla quale si aggiunse l’apoplessia e paralisi a un braccio con altri accidenti e un cancro al fianco. Per 4 mesi giacque immobile. Unto con l’olio della lampada, il corpo si sgonfiò e il signore fu liberato da ogni malattia;

Guarigione da febbre mortale, Caterina, bambina di 3 anni soffriva di febbre continua e dissenteria, fu unta con l’olio della lampada. Immediatamente dopo, aprì gli occhi e incominciò a camminare ormai restituita alla salute di prima;

Bambino liberato dalla cecità, un bambino di quattro anni, a seguito di morbillo cadde in cecità, unto con l’olio della lampada recuperò la vista.

IL QUADRO CON LA MADONNA E GESÙ BAMBINO

La sua mente era sempre elevata a Dio: la notte, quando gli altri religiosi dormivano, egli passava lunghe ore in chiesa. Una notte di Natale fu visto dal Padre Alfonso Lupo, starsene genuflesso ai piedi dell’altare che pregava la SS Vergine che gli facesse vedere il Bambinello Gesù così come nacque a Betlem. La regine del Cielo gli si presentò in un abito bianchissimo, stringendosi al seno il suo Divin Figliulo come se fosse nato da poco. Il Bambino con un salto, dalle braccia materne andò a posarsi in quelle di Felice che incominciò ad accarezzargli le guance e la barba. Per un quarto d’ora Felice potè cullarlo dolcemente. Rinvenuto dall’estasi, si sciolse in cantici di ringraziamento alla Vergine e al suo Figliolo.

Sisto V, venuto a conoscenza di questa prodigiosa visione, ordinò che sul suo sepolcro fosse dipinta la sua immagine con il Divino in braccio.

LA MORTE

Morì verso le 19 del 18 Maggio 1587 nel convento di S. Croce e Bonaventura dei Lucchesi, nella visione confortatrice della Vergine Santa circondata da una schiera di angeli. Nel momento della morte i piedi di Felice, sempre piagati e ulcerati, divennero bianchi e lisci come quelli di un bambino. Fu da subito venerato dalla pietà popolare come santo. Anche i romani pontefici Sisto V e Gregorio XV furono visti recarsi pubblicamente al suo sepolcro per raccomandarsi a Dio con le preghiere di quel beato uomo. Il 27 aprile del 1631 le sue spoglie furono traslate nella chiesa consacrata all’Immacolata Concezione della Vergine Maria in Via Veneto vicino Piazza Barberini; il corteo cui parteciparono 200 Cappuccini e la confraternita di San Marcello, avanzò imponente fra due fittissime ali di popolo. Il corpo è posto in un sarcofago del III secolo sotto l’altare della seconda cappella laterale sinistra a lui intitolata. Fu beatificato il 1° ottobre 1625 e canonizzato il 22 maggio del 1712.

ALCUNI MIRACOLI

Fra’ Felice recatosi al suo Paese, per provvedere al suo pasto fa crescere le fave nell’orto in pieno inverno Un giorno mentre era sulla strada di Cantalice per portare l’indulgenza Plenaria di Gregorio XIII, bussò alla porta di una casupola di Moncasale, dove viveva la famiglia del fratello maggiore. Felice si impensierì nel vedere la cognata che si preoccupava di preparare una bella cena. Fu così che Felice, nonostante la stagione invernale, la esortò ad andare nell’orto a prendergli delle fave fresche. La cognata allibita trovò nell’orto tantissime fave e non potè che riempire il grembiule per offrirle a Felice.

Una buona massaia è disperata perché i bachi che coltiva con tanto amore sono prossimi a morire per mancanza di foglia di gelso. Fra’ Felice la conforta, poi va a cogliere le foglie e gliele porta. Ma sebbene essa sia poca e bagnata e quindi insufficiente e dannosa, i bachi non solo non muoiono, ma fanno magnifici bozzoli La signora Pilois Maddalena era disperata. La pioggia continua le impediva di raccogliere foglia asciutta ed i suoi bachi stavano per morire. Lo seppe in tempo Fra Felice e, uscito nella prossima campagna, raccolse più foglia che pote’ e la stese sui bachi invocando il nome di San Francesco d’Assisi. Nell’incredulità dei coniugi,l’indomani la casa era piena di bozzoli. Si divulgò in un baleno la notizia del prodigio e tutti vollero avere quella seta miracolosa.

IL LIQUORE MISTERIOSO

Il corpo di fra Felice fu rinchiuso in una duplice cassa, una di legno e l’altra di piombo e, dunque in un sarcofago di marmo. Un misterioso liquore color argento cominciò ad uscire per tre anni consecutivi, da quel sacro deposito, che, raccolto in grande quantità, servì a guarire una moltitudine di infermi. Lo stesso pontefice e molti cardinali lo facevano raccogliere con frequenza, data la fama degli strepitosi prodigi che con esso si operavano.

L’OLIO DELLA SUA LAMPADA

Sul sepolcro ardeva continuamente una lampada ad olio. L’olio fu usato spesso per ungere e guarire gli infermi:

Frate Paolo da Tivoli Cappuccino che giaceva da quarant’anni paralizzato nel suo letto,

Domenico, un povero lavoratore, epilettico e deforme con una cancro nel fianco;

Una fanciulla di 14 anni costretta da una grave malattia al letto da tre anni;

Caterina Belentano di appena tre anni che, priva della capacità di parlare, celebrò l’avvenuto miracolo;

Il figliolo soffocato da Domenica Fabrizi, sorpresa dal sonno mentre l’allattava.

 

BEATIFICAZIONE

L’immortale Urbano VIII della famiglia Barberini fece esaminare i miracoli che si dicevano operati da Dio per intercessione di fra Felice. Ne furono approvati 4 dei più strepitosi e nell’anno giubilare 1625, con breve del 1° Ottobre, Urbano VIII lo proclamò Beato.

SANTIFICAZIONE

Clemente XI nel giorno 22 maggio 1712, festa della SS. Trinità, lo proclamò Santo. La bolla di canonizzazione fu promulgata da Benedetto XIII il 4 maggio 1724. le cronache del tempo ci dicono tutta la gioia che inondò il popolo cristiano nell’apprendere la notizia della sua ultima glorificazione.

Ogni anno il 18 maggio si svolge in Cantalice una festa solenne in onore del Santo:

• In Cantalice c’è la Confraternita intitolata al Santo. Ne fanno parte numerosi confratelli, essa si occupa della cura del Santuario e delll’organizzazione della festa del 18 maggio.

• Un cappuccino polacco ha fondato una nuova congregazione religiosa femminile chiamata “Feliciane”. Oggi esiste una fiorente congregazione di Suore Terziarie che hanno il nome di feliciane o di San Felice da Cantalice.

BIBLIOGRAFIA

Ireno da Miciliano, “ S.Felice da Cantalice ” – Gens Sancta – Prima serie – 86, Alba 30 maggio 1944

Alberto Venturoli , “ San Felice da Cantalice ” – Piemme , Roma 1993

Mons Carlo Fulio Bragoni , “” I fioretti di S.Felice – Arti Grafiche Nobili, Rieti 1970

Remo Branca , “ L’asino dei frati ” – Colligrafik s.n.c. – Rieti, 1987

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